Il miracolo dell’ibernazione

Gli orsi possono trascorrere fino a sei mesi dormendo in una tana

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E’ una mattina di fine novembre. Nella notte è nevicato un poco e il terreno è coperto da un velo gelido alto appena tre dita, ma preludio di più abbondanti nevicate.

Le impronte di un orso risalgono il fondovalle per perdersi nella faggeta, da cui l’orso non emergerà più almeno fino alla fine di marzo. Con l’arrivo della stagione invernale, gli orsi si trovano ad affrontare condizioni ambientali sfavorevoli, ovvero temperature rigide e carenza di cibo. Ma questi animali sono dei veri strateghi e trascorrono tutto l’inverno protetti, a riposo in una tana. Il loro riposo però non è solo caratterizzato da immobilità. In Appennino, tra la quarta e la seconda settimana precedenti al lungo sonno invernale, gli orsi diventano gradualmente sempre più pigri e notturni, limitano i propri spostamenti a pochi chilometri dal futuro ricovero invernale e perdono l’appetito, fino ad entrare in un vero e proprio stato di dormienza, definito più propriamente ibernazione. In questo stato, gli orsi non si nutrono, non defecano e non urinano. Gli animali respirano più lentamente, con 1 o 2 respiri al minuto. Il battito cardiaco diminuisce a non più di 10 pulsazioni al minuto e il metabolismo si prende “una pausa”. L’animale si “raffredda” e la sua temperatura corporea può scendere anche di 5 gradi centigradi. E avviene qualcosa di stupefacente. I battiti potrebbero a breve duplicare o triplicare. Le femmine gravide stanno per partorire proprio in questo periodo.

Con le prime nevicate inizia il lungo sonno degli orsi al sicuro delle loro grotte.

Molti dei cambiamenti fisiologici che gli orsi attraversano durante l’ibernazione sono unici e ancora sconosciuti.

Gli orsi riescono a contrastare tutti problemi legati a mesi di immobilità, di digiuno e di anuria. Qualcosa che sa di magico anche per gli studiosi. Per cominciare, essi non soffrono di uremia o disidratazione. Durante l’ibernazione, la funzione renale si riduce drasticamente e tutta l’urea viene riassorbita a livello della vescica urinaria. Il volume di flusso plasmatico diminuisce del 90%, così come il consumo di ossigeno (fino addirittura al 70% in meno) e la velocità di filtrazione. Nonostante ciò, il livello di urea non aumenta nel sangue, anzi paradossalmente diminuisce. Come è possibile?

L’urea è un prodotto del metabolismo delle proteine ​​e durante il letargo l’orso consuma principalmente i grassi. Negli orsi, pertanto, in inverno la produzione di urea è 2-10 volte più lenta che in estate. Inoltre, l’urea, riassorbita dalla vescica urinaria, passa nel lume intestinale, dove grazie all’azione di alcuni batteri simbiotici viene idrolizzata ad ammoniaca. Quest’ultima, una volta trasportata nel fegato, reagisce con il glicerolo rilasciato durante la lipolisi del grasso per produrre amminoacidi, ideali per non perdere massa muscolare. Infatti, durante l’ibernazione i muscoli degli orsi incredibilmente non si atrofizzano né perdono forza. Gli orsi perdono soltanto il 10-15% delle proteine muscolari e rabbrividendo, ovvero grazie a brevissime (circa 0.2 secondi) e ripetute (ogni 3-10 secondi) contrazioni muscolari, essi mantengono i muscoli attivi e tonici. Gli orsi non soffrono nemmeno di osteoporosi, ovvero il tessuto osseo non degenera e non perde quindi densità, e riescono a tollerare gli alti livelli di grassi in circolazione, senza incorrere a arteriosclerosi o malattie cardiache.

UNA VITA CHE NASCE DAL SONNO

A partire da fine novembre, la temperatura corporea delle femmine gravide aumenta e si mantiene a livelli elevati fino a circa febbraio. Lo sviluppo dell’embrione richiede calore (o eutermia). Gli orsi sono gli unici mammiferi in grado di partorire e allattare in condizioni così estreme. Ma che cosa accade nelle femmine durante i mesi che precedono l’inverno? Dopo la fecondazione, avvenuta in primavera o all’inizio dell’estate, lo sviluppo dell’embrione entra in diapausa allo stadio di blastocisti (poche centinaia di cellule), ovvero arresta il suo sviluppo. L’entrata in tana, che può avvenire anche tra ottobre e novembre, non coincide necessariamente con la ripresa della gestazione, che in genere avviene tra novembre e dicembre. Uno dei fattori scatenanti è la diminuzione del fotoperiodo, cioè del numero di ore di luce tipico di inizio inverno, che innesca nelle femmine lo sviluppo del feto. Le femmine, quindi, rimangono calde fino al parto. Da questo momento in poi subentra uno stato di inattività per evitare di schiacciare e soffocare i piccoli.

L’entrata e l’uscita dalla tana sono innescati da una molteplicità di fattori ambientali e dalle caratteristiche individuali degli orsi.

Per quanto tempo svernano gli orsi? Questo dipende dall’interazione di molti fattori: condizioni ambientali, necessità fisiche e stato nutrizionale degli animali. L’arrivo della neve, la diminuzione della temperatura esterna, delle ore di luce e della quantità di cibo in natura sono determinanti per innescare negli orsi l’inizio del lungo sonno. Alle latitudini meridionali, ad esempio, gli orsi bruni entrano nelle tane più tardi e trascorrono meno tempo in ibernazione rispetto agli orsi che vivono a quelle più settentrionali, più fredde e nevose. Ma nel determinare la durata dell’ibernazione è decisivo il raggiungimento di un rapporto ottimale tra peso e grassi accumulati. Laddove il bilancio energetico nell’alimentarsi durante l’inverno risulta più favorevole dello svernamento, per alcuni orsi può risultare vantaggioso rimanere attivi per tutto o parte dell’inverno. Infatti, in climi temperati e con accessibilità a fonte di cibo anche durante l’inverno, gli individui che devono affrontare delicati bilanci energetici, come i giovani di pochi anni o le femmine associate ai piccoli nati in estate, rimangono più svegli degli altri orsi. In Appennino, la maggior parte degli orsi monitorati trascorre l’inverno in tana, ma negli inverni poco nevosi e preceduti da un autunno con una grande fruttificazione di faggio o quercia, un giovane e una femmina associata ai suoi due piccoli hanno trascorso tutto l’inverno mangiando frutta secca.

La maggior parte delle tane note di orso in Appennino sono localizzate in sistemi rocciosi all’interno delle faggete più remote e tranquille.

In Appennino, gli orsi in genere entrano in tana in occasione della prima nevicata della stagione. Le femmine sono le prime a ritirarsi, intorno alla fine di novembre, ma alcune possono essere in tana già dalla prima settimana di novembre. Le più ritardatarie, in genere, aspettano non oltre la metà di dicembre. I maschi aspettano di più e in genere si decidono intorno all’8 dicembre, ma possono ritardare fino alla fine dell’anno. Grazie alla loro mole e peso, i maschi consumano energie più lentamente ed è per questo che possono rimanere attivi più a lungo. Il risveglio degli orsi è un processo graduale come quello di entrata. Infatti, gli orsi attraversano una fase di “cammino letargico” e riprendono i propri ritmi normali solo dopo una settimana dall’uscita dalla tana. A fine marzo, maschi e femmine abbandonano le tane, anche se le femmine possono aspettare fino alla metà di aprile, in coincidenza con il picco di ripresa delle temperature e lo scioglimento della neve. Le più “dormiglione” sono le femmine gravide, che in genere entrano per prime e possono rimanere nei pressi della tana anche fino alla fine di maggio, data la loro necessità di prendersi cura dei cuccioli ancora poco mobili.

IBERNAZIONE E CAMBIAMENTI CLIMATICI

Il caldo riduce il sonno dell’orso? È la domanda a cui alcuni studiosi hanno cercato di rispondere analizzando 69 anni di dati di entrata e uscita dalla tana in 12 aree protette russe. Quello che emerge è che un innalzamento delle temperature ambientali nei periodi immediatamente prima alla data di uscita, induce effettivamente gli orsi a uscire prima dal sonno invernale. Alle stesse conclusioni è giunto anche uno studio ventennale condotto sui monti Cantabrici in Spagna: in primavere particolarmente calde, le femmine con i piccoli si affacciano dalle loro tane prima del tempo. Quali potrebbero essere le ripercussioni sulla vita degli orsi? Gli studiosi non sanno ancora rispondere. Quello che è certo è che tutto dipenderà dall’effetto che i cambiamenti climatici avranno in primavera sui cibi più appetibili per gli orsi.

In Appennino alcuni orsi rimangono letargici tutto l’inverno, altri interrompono il periodo di dormienza per periodi anche di 10 giorni alla ricerca di cibo.

Più della metà degli orsi studiati in genere ha utilizzato un solo ricovero invernale per tutta la durata del periodo di ibernazione, ma gli altri hanno cambiato tana almeno una volta tra gennaio e marzo, trovandone una seconda entro pochi chilometri di distanza. Sebbene l’abbandono di una tana possa avvenire per cause naturali (inondazioni, fenomeni sismici), l’uomo ne è la causa principale. Durante le attività di ricerca è stato possibile dimostrare come l’abbandono di una tana tra gennaio e febbraio sia coinciso con il passaggio di escursionisti. Ma i cambiamenti avvenuti tra la fine di febbraio e il mese di marzo sono coincisi in genere con un incremento delle temperature medie stagionali, suggerendo forse un primo tentativo di esplorazione o di avvicinamento alle zone di alimentazione primaverili. Infatti in più della metà delle seconde tane, sono stati rinvenuti escrementi, ad indicare che gli orsi nel frattempo si erano nutriti.

Gli orsi scelgono come tane cavità rocciose naturali dalle aperture ridotte e dimensioni tali da accomodare la presenza di un solo animale, ideali per mantenersi caldi.

La scelta di un ricovero ideale è critica perché deve garantire protezione da condizioni climatiche avverse e dai predatori, soprattutto nel caso delle madri che allattano i piccoli. Gli orsi possono utilizzare come tana anche un semplice giaciglio o addirittura scavare dei veri e propri “monolocali” sotterranei. Tutto dipende dal clima e dalla geomorfologia del territorio, e non da ultimo dal sesso, dall’età dell’animale e dalla necessità o meno di partorire. Tuttavia, gli orsi bruni di solito scavano un tunnel o cercano grotte naturali. In Appennino, la geomorfologia del territorio di natura carsica offre una considerevole disponibilità di cavità e grotte naturali. D’altra parte una cavità naturale non offre solo protezione fisica, ma anche un ambiente relativamente stabile, asciutto ed isolato da un punto di vista termico ed acustico. Queste caratteristiche sono ideali in ambienti temperati umidi dove raramente le temperature scendono al disotto dei -10 gradi e dove le precipitazioni invernali possono anche assumere carattere piovoso.

Come sono fatte le tane degli orsi in Appennino? Una tana è generalmente composta da un ingresso, una galleria o “anticamera” e una “stanza” principale. L’entrata è in genere bassa e larga così da favorire l’accumulo di neve davanti all’entrata e ridurre la dispersione del calore, garanzia di isolamento termico. L’altezza e la larghezza della camera sono proporzionali alle dimensioni di un orso e nella maggiore parte dei casi (80% delle tane esaminate), è presente un giaciglio formato di terra, foglie e ramoscelli, ideali per isolarsi dal terreno. Le dimensioni ridotte della tana, rispetto a quelle dell’orso, consentono una maggiore stabilità termica.

Gli orsi tendono a svernare in zone poco accessibili e ad alta complessità orografica e poco disturbate dalla presenza umana.

Gli orsi in genere non utilizzano le stesse tane da un anno all’altro. Tuttavia, uno o più individui possono scegliere di svernare nelle stesse aree. Quali sono i requisiti ideali di un’area di svernamento? Stabilità termica, sicurezza e tranquillità e vicinanza ai cibi primaverili. In Appennino gli orsi selezionano zone poco accessibili e poco disturbate. Infatti, la maggior parte delle tane sono state localizzate ad alta quota (a circa 1600 metri), sotto il limite del bosco all’interno di faggete e su versanti molto ripidi (con pendenze di circa 35 gradi), e distanti 1-3 km da strade o zone abitate. Dall’altra parte, i versanti ripidi in alta quota favoriscono l’isolamento termico delle tane. Questo perché godono di maggiore innevamento, che può chiudere l’entrata,e sono i primi a liberarsi dalla neve in primavera. Gli orsi non mostrano preferenze per una specifica esposizione, ma tengono conto delle condizioni microclimatiche locali, che scatursicono dalla struttura fisica e vegetazionale nell’area immediatamente circostante la tana (presenza di rocce, alberi e vegetazione). La vicinanza alle aree di alimentazione primaverili sembrerebbe essere rilevante soprattutto per le femmine. Nelle prime settimane dopo l’uscita, infatti, le femmine tendono a ridurre le proprie attività di spostamento e di alimentazione in un’area di 3-4 km nell’intorno del sito tana.

In un caldo pomeriggio di Aprile un orso si aggira nei pressi della tana dove ha trascorso l’inverno.

Gli orsi hanno un sonno leggero e manifestano, se disturbati, alti livelli di reattività in tana e una volta svegli sono subito in forze.

In tana, la temperatura corporea di un orso diminuisce, ma di poco, caratteristica che permette di mantenere una certa reattività a stimoli esterni. Ma come reagisce un orso se viene disturbato mentre dorme? Nelle migliore delle situazioni, gli orsi non abbandonano le tane, ma il loro battito cardiaco e la loro temperatura aumentano per ritornare ai ritmi di svernamento solo dopo due o tre settimane e con notevole consumo di riserve energetiche. Tuttavia, come documentano alcuni studi, la presenza di attività umane (attività forestali, attività venatorie, passaggio di persone e attività di ricerca) a distanze addirittura di 1 km (e a livelli drastici a 200 metri) da una tana invernale, possono indurre gli orsi ad allontanarsi. Ciò soprattutto se il disturbo si verifica nei primi mesi dall’entrata. In queste situazioni gli orsi possono subire una notevole perdita di peso (pari a oltre il 25%). In Svezia uno studio condotto su 90 orsi dotati di radiocollare, ha dimostrato che il 22% degli orsi abbandona o cambia tana nel corso dell’inverno. Nel caso delle femmine gravide, in particolare, questo cambiamento ha determinato l’abbandono o la morte dei piccoli. In condizioni estreme, ovvero nel caso di orsi catturati e manipolati in tana, il tasso di abbandono è risultato del 92%. Alcuni orsi sono stati in grado di ritrovare una nuova tana, ma dopo diverse settimane e percorrendo anche lunghe distanze, mentre altri hanno interrotto definitivamente il sonno invernale. Tutto questo in condizioni di temperature estreme e senza possibilità di nutrirsi.

In Appennino ogni anno si riproducono soltanto 3-4 femmine e per partorire hanno bisogno di luoghi sicuri e poco accessibili. Per questo è fondamentale tutelare rigidamente queste aree davvero sensibili. Soprattutto d’inverno è importante non abbandonare i sentieri prestabiliti e rispettare eventuali ordinanze erogate dagli Enti preposti.

Le aree di svernamento, così come i periodi di entrata in tana, possono coincidere in alcune aree con lo svolgersi di molte attività umane, tra cui la caccia, il taglio boschivo, la ricerca di tartufi, oltre a quelle ricreative e sportive. Dall’altra parte, tra febbraio e aprile, anche altre attività come l’addestramento dei cani e la ricerca di palchi di cervo potrebbero interferire con il sonno invernale degli orsi. L’impatto potrebbe essere sicuramente maggiore al di fuori dei confini delle aree protette.

L’uscita prematura di una femmina da una tana può aumentare di dieci volte il rischio di abbandono dei piccoli. Ridurre l’impatto dell’uomo nelle aree di svernamento può aiutare il futuro di questa specie.

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