L’orso onnivoro

La dieta degli orsi è una vera esplosione di energia e nutrimento

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L’orso bruno marsicano è un animale essenzialmente onnivoro, con una dieta composta da specie vegetali e animali.

Gli orsi vanno sempre alla ricerca degli alimenti più abbondanti e nutrienti ed è per questo che la loro dieta è molto diversificata stagionalmente. In termini energetici, il 65% della dieta di un orso è costituito da frutti secchi e carnosi, fanno seguito piante erbacee e insetti (25%), ungulati domestici e selvatici (8%) e infine radici (2%). L’alimentazione dell’orso nell’Appennino è strabiliante per la sua ricchezza nutritiva. In tutte le stagioni sono presenti proteine, zuccheri e grassi: una miscela “esplosiva” che garantisce una efficiente digestione e un rapido aumento di peso. Un cibo non vale l’altro e alcuni giocano davvero un ruolo chiave di cui un orso non può fare a meno. Tuttavia questi animali sono anche molto adattabili e se scarseggia una risorsa particolarmente importante, trovano il modo di rimpiazzarla.

In quattro anni di ricerca abbiamo analizzato circa 2400 escrementi di orso raccolti in tutte le stagioni. Un vero lavoro certosino alla ricerca di semi, bucce, frammenti di foglie e di insetti, peli e ossa fatto per capire cosa mangiano gli orsi, con che frequenza e in che volume e soprattutto quando. Ci sono volute 2000 ore di lavoro da parte di ricercatori, esperti e studenti con pinzette alla mano, atlanti e collezioni di riferimento a disposizione e tante ore al microscopio. Ogni escremento è una sorta di sfera di cristallo in grado di svelare i segreti di un intero ecosistema. Gli orsi si alimentano di almeno dodici specie di mammiferi, di una cinquantina di specie di insetti, e di oltre venti specie diverse di frutti carnosi, oltre ad altre specie vegetali. Questo è l’ambiente dell’orso. Questo è l’Appennino, un insieme di ecosistemi ricco e diversificato in cui si intrecciano le vite di piante e animali, da quelli che pesano pochi milligrammi, come le formiche, fino all’orso che può pesare anche oltre 200 chilogrammi.

Elisabetta

Un cibo per ogni stagione: la ricchezza di ambienti e specie dell’Appennino centrale permette all’orso di accedere ad una grande varietà di risorse alimentari di origine naturale.

Da fine marzo a luglio, quando gli orsi hanno maggior necessità di mettere su massa muscolare, si alimentano principalmente di proteine sia animali che vegetali.

La primavera è la stagione della ripresa vegetativa. Mentre gli alberi iniziano a germogliare, a partire dal fondovalle e, con il progredire dell’estate, sempre più in quota, i prati rinverdiscono. Quasi il 40% della dieta di un orso include piante erbacee da fine marzo a maggio. Gli orsi si nutrono principalmente di graminacee, approfittando dei primi ciuffi più digeribili e nutrienti, ma anche delle gemme degli alberi. Da giugno e per tutto luglio, gli orsi preferiscono nutrirsi di erbe che fioriscono, tre volte più nutrienti delle graminacee, di cui consumano radici, foglie e fiori. Il consumo di erbe è tuttavia minimo nei mesi primaverili che seguono gli anni di massiccia fruttificazione dei frutti del faggio, quando più del 30% della dieta è costituito infatti da faggiole cadute a terra nell’autunno precedente. Questi frutti continuano ad essere consumati fino alla fine di luglio, anche se in misura minore. Cervi, caprioli e cinghiali, ovvero gli ungulati selvatici, rappresentano una parte importante della dieta sia primaverile (13%) che dei primi mesi estivi (5%), che riguarda soprattutto i piccoli di cervo e di capriolo. A partire da giugno, con l’inizio della stagione di pascolo, anche gli ungulati domestici fanno la loro comparsa nella dieta (4%). Ciononostante, gli orsi soddisfano a pieno il loro fabbisogno di proteine e grassi animali alimentandosi soprattutto di insetti (es. formiche), il cui consumo varia, a seconda degli anni, tra il 32 e il 48% della dieta. Da marzo a luglio, gli orsi non si fanno mancare anche una buona dose di zuccheri molto digeribili, contenuti nella rosa canina in primavera e nelle ciliegie, sia selvatiche che domestiche, nei primi mesi estivi.

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A partire dall’estate e per tutto l’autunno gli orsi vanno in cerca dei cibi che consentono loro di accumulare riserve di grasso da consumare durante il periodo di svernamento.

Con il progredire dell’estate l’appetito degli orsi aumenta e così il loro peso. Infatti, a partire da agosto inizia il cosiddetto periodo di “iperfagia” che raggiunge il suo picco in autunno, quando gli orsi triplicano il loro fabbisogno energetico rispetto alla primavera. Da fine settembre gli orsi bruni possono assumere fino a 20.000 chilocalorie e aumentare anche più di un chilo al giorno. Ma in questo periodo ingrassare vuol dire accumulare soprattutto riserve di grasso, che gli orsi fanno alimentandosi di frutti ricchi di zuccheri facilmente convertibili in riserve adipose. Tra agosto e settembre la dieta degli orsi è essenzialmente frugivora e i frutti contribuiscono a più del 70% dell’energia assimilata. Gli animali consumano circa venti specie diverse tra bacche e frutti di grandi dimensioni, ma è il ranno, una bacca di pochi millimetri che matura sui ghiaioni di alta quota, la risorsa chiave che, a seconda degli anni, contribuisce per il 30% e fino il 70% della dieta. La frutta secca, molto ricca sia di proteine che di lipidi, contribuisce poco in estate, ad eccezione degli anni di abbondanza dei frutti del faggio, quando il loro consumo quadruplica. Gli orsi si alimentano anche di insetti, erbe, bestiame, ungulati selvatici e radici. Ciascuna di queste risorse in misura variabile dal 2 all’8%. Già a partire da luglio, tra gli insetti consumati si trovano api, bombi e larve di mosche e altre specie, quest’ultimi probabilmente associati al consumo di carcasse.

I collage di immagini offrono una visione di insieme di alcuni dei cibi più ricorrenti nella dieta dell’orso bruno appenninico durante le fasi di ipofagia (sinistra) e iperfagia (destra)

Ma è in autunno che la dieta si fa veramente “grassa” per gli orsi. Durante questa stagione, oltre a mangiare frutta carnosa, soprattutto mele e pere, gli orsi consumano frutta secca, ricca non solo di zuccheri, ma anche di oli e proteine. Il consumo di frutta secca, infatti, ha un picco in questa stagione e può variare dal 49% fino a oltre il 90% della dieta. I frutti secchi che dominano la dieta autunnale dell’orso sono le ghiande (i frutti del cerro, della roverella e di altre querce) e le faggiole (i frutti del faggio). Le ghiande sono prodotte di anno in anno all’incirca nella stessa quantità, mentre le faggiole hanno dei picchi di produzione che avvengono ogni 2 – 5 anni. Gli anni di produzione massiccia di faggiole, nettamente superiore alla media di lungo termine, sono chiamati “pasciona” o “anni (o annate) di pasciona” . In questi anni, gli orsi si alimentano quasi esclusivamente di questi frutti. In tutti gli altri anni, gli orsi compensano la scarsità di faggiole alimentandosi di almeno altre quindici specie di bacche e frutti vari, oltre pere, mele e ghiande. La restante dieta è costituita da erbe, in coincidenza con la seconda ripresa vegetativa in quota, cervi e insetti. L’autunno coincide con la stagione riproduttiva dei cervi, e i maschi soprattutto, denutriti e indeboliti dalle lotte per “amore”, diventano una facile preda per lupi e orsi.

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I dati della dieta degli orsi sembrerebbero confermare la ricchezza degli ecosistemi appenninici. Ad oggi non ci sono evidenze che gli orsi catturati e monitorati negli anni di studio soffrano stress nutrizionali, ad indicare che è molto raro che si verifichi un anno povero di qualsiasi tipo di risorsa alimentare, almeno nell’area del Parco. Queste conclusioni sono rafforzate anche da uno studio condotto nel 2013 e nel 2014 in cui è stata ricostruita la dieta di otto orsi attraverso una tecnica alternativa (analisi degli isotopi stabili contenuti in campioni di peli). La ricerca ha evidenziato come la dieta di ogni orso si sovrapponga e diversifichi nello stesso tempo rispetto a quella degli altri sottolineando, ancora, come molti cibi diversi siano a disposizione di questi animali. Inoltre, dato che la nascita e la sopravvivenza dei cuccioli sono legate allo stato di salute delle madri e poiché negli ultimi 15 anni i livelli medi delle nascite si sono mantenuti alti è lecito assumere che gli orsi abbiano avuto sempre a disposizione cibo a sufficienza.

Nel filmato realizzato con delle videotrappole, un orso al picco dell’iperfagia autunnale si nutre dei frutti di pero selvatico caduti al terreno in un bosco di collina.

In base alle ricerche effettuate, gli orsi del Parco sembrerebbero avere una dieta molto “selvatica” e consumano soprattutto cibi naturali, ovvero non è stata documentata una marcata dipendenza da cibi di origine antropica. Tuttavia gli orsi talvolta possono consumare animali domestici e frutti di piante coltivate (per esempio prugne, susine, ciliegie, amarene, mele, pere), fenomeno favorito dalla sovrapposizione fra i territori degli orsi e le zone coltivate e le aree di pascolo. In tutta l’area del Parco, compresa la zona di protezione esterna, il numero di casi di danni alle colture è in genere di poche decine l’anno (principalmente danni a peri, meli e ciliegi), mentre i danni alla zootecnia sono non più del doppio, con prevalenza di danni al bestiame, ad animali da cortile e alle arnie.

Un orso si alimenta dei resti di una vacca morta per cause naturali. La presenza di carcasse di animali domestici nell’areale dell’orso appenninico è un argomento controverso: se da un lato rappresenta una risorsa importante per il plantigrado, dall’altra può originare conflitti e problematiche di natura sanitaria e gestionale.

Tuttavia, alcuni orsi possono diventare più spavaldi e andare alla ricerca di cibo anche nei centri abitati. Secondo quanto riportato dagli studi in materia, questo fenomeno potrebbe essere causato da una moltitudine di fattori che spesso interagiscono tra loro (età, sesso, indole dell’animale, gerarchia sociale, fluttuazione stagionale e annuale delle fonti di cibo naturali, disponibilità e accessibilità di fonti di cibo di origine antropica). Per un orso che deve ingrassare di decine di chilogrammi in pochi mesi, qualsiasi cibo di origine antropica è equivalente a cibo da fast food, ovvero nutriente, appetitoso, abbondante e acquisibile con poca fatica. A queste condizioni, alcuni animali, soprattutto in un’area protetta dove sono tutelati, non resistendo alla tentazione, possono prendere l’abitudine di frequentare zone abitate, dove la competizioni con altri orsi è pressoché minima. Tale fenomeno potrebbe essere innescato anche dall’incuria dell’uomo. La ricerca ha infatti evidenziato il consumo diffuso di radici, che non sono altro che carote lasciate in enormi quantità per mucche e cavalli al pascolo. Questa risorsa, oltre a creare dipendenza (tonnellate di carote disponibili in tutta la stagione estiva), è stata associata all’insorgenza di comportamenti confidenti (perdita di diffidenza nei confronti dell’uomo e frequentazione di centri abitati) e problematici (danni cronici ad attività antropiche).

Apiari protetti da recinzione elettrificata. Impedire o limitare l’accesso dell’orso alle risorse alimentari di origine antropica è la migliore forma di prevenzione dei conflitti con questa specie.

Come è atteso, le risorse di cui si nutrono gli orsi sono naturalmente soggette a fluttuazioni annuali e lo saranno ancora di più alla luce degli attuali e futuri cambiamenti climatici. Una gestione oculata e proattiva, “a prova di orso”, dovrebbe mirare a mantenere abbondanti popolamenti maturi di faggio e querce, così come preservare la disponibilità nel tempo di tutte le altre risorse chiave. Tutto questo in parallelo all’adozione di una serie di buone pratiche che riducano le fonti di attrazione degli orsi all’interno dei centri abitati e la dipendenza da risorse di origine antropica, causa di conflitti non tanto economici quanto sociali.

L’Appennino è ricco di risorse alimentari naturali, più che sufficienti per la popolazione di orso presente. Una ricchezza da tutelare per preservare gli ecosistemi di cui l’orso è parte integrante, i loro equilibri e, in ultimo, evitare i conflitti con la nostra specie.

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