Fra diritti e doveri
Appunti giuridici sulla questione animale
Nel febbraio 2022, l’Italia ha compiuto un passo storico, modificando, per la prima volta dal 1948, i principi fondamentali della Costituzione repubblicana, per affrontare una questione che ci riguarda tutti da vicino: quella animale.
L’articolo 9 della Costituzione ora riconosce la tutela dell’ambiente come uno dei principi fondamentali dello Stato. Questa modifica, che si inserisce nel contesto della norma dedicata alla cultura, alla ricerca e alla salvaguardia del paesaggio e del patrimonio storico-artistico della Nazione, introduce un terzo comma, il quale afferma che la Repubblica “tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni”.
La tutela dell’ambiente, sebbene “innominata”, faceva comunque parte del nostro ordinamento costituzionale già da molto prima della riforma del 2022.
Sebbene nel testo della Costituzione entrata in vigore il 1° gennaio 1948, di ambiente neppure si parlava, proprio partendo dall’articolo 9, e quindi dalla norma che tutela il paesaggio, studiosi, interpreti del diritto, e magistrati, hanno progressivamente esteso l’oggetto di quella tutela, arrivando a ricomprendervi anche valori più prettamente naturalistici. Non bisogna poi dimenticare che la Corte Costituzionale ha affermato il rilievo della tutela ambientale collegandola alla norma sul diritto alla salute, in quanto, evidentemente, lo stesso è strettamente connesso alla qualità dell’ambiente in cui si vive. Successivamente è stato istituito un Ministero dell’Ambiente, e sono state dettate le prime norme in materia di risarcimento del danno ambientale (1986); l’ambiente ha fatto anche una sua prima comparsa in Costituzione (2001), ma solo per essere “spacchettato” fra le materie di competenza legislativa esclusiva dello Stato, e quelle a competenza ripartita fra Stato e Regioni, fra tutela e valorizzazione; infine, è arrivato anche un “Codice dell’Ambiente” (2006), e addirittura all’interno del nostro Codice Penale è stato inserito un titolo dedicato specificamente ai Delitti contro l’ambiente (2015). Proprio quell’ambiente che, nonostante tutto, continuava a rimanere privo di un proprio statuto costituzionale.

Un gruppo di camosci, simbolo della natura appenninica, salvato dall’estinzione grazie agli interventi di conservazione del Parco Nazionale d’Abruzzo, Lazio e Molise.
Riconoscere la protezione dell’ambiente come un principio fondamentale è un cambiamento importante in un momento in cui le questioni ecologiche sono sempre più rilevanti. Tuttavia, le modifiche hanno suscitato ampi dibattiti.
Sebbene l’introduzione di un principio di tutela ambientale sia stata accolta con favore da molti, altrettanto numerosi sono stati quelli che hanno riservato alla revisione costituzionale parole critiche. Queste si sono concentrate soprattutto sulle sorti della parallela tutela del paesaggio, che a fronte delle pressanti istanze dell’approvvigionamento energetico da fonti di energia pulite e rinnovabili, corre oggi il rischio di diventare sacrificabile, e dunque di soccombere innanzi all’imperativo della transizione ecologica; transizione ecologica che, secondo questa prospettiva, avrebbe trovato il suo ingresso in Costituzione proprio sotto l’ombrello della tutela dell’ambiente, della biodiversità e degli ecosistemi – e mettendo da parte, si direbbe, tutte le ulteriori istanze e valori che nella protezione ambientale possono essere ricompresi.

Un fratino ci ricorda quanto gli animali siano capaci di adattarsi e trovare soluzioni per convivere. Tuttavia, non sono in grado di valutare i rischi che questa coesistenza può comportare.
Oltre al tema dei rapporti tra ambiente e paesaggio, però, c’è un altro punto della riforma costituzionale che ha generato opinioni contrastanti: quello dell’inserimento in Costituzione della tutela degli animali.
Invero, l’attuale terzo comma dell’articolo 9 del testo costituzionale, subito dopo aver sancito il principio della tutela ambientale – anche nell’interesse, come visto, delle future generazioni – assegna alla legge dello Stato il compito di disciplinare “i modi e le forme di tutela degli animali”. Alcuni commentatori hanno definito la riforma addirittura rivoluzionaria, per il fatto di aver portato, per la prima volta e con un indubbio valore simbolico, gli animali in Costituzione. Effettivamente se, come si è detto, nella Costituzione del 1948, e fino alla costituzionalizzazione, insoddisfacente, del 2001, l’ambiente in Costituzione neppure veniva nominato, lo stesso si può dire rispetto agli animali, che fanno la loro prima comparsa nel testo della nostra Legge fondamentale proprio con la riforma del febbraio 2022. Così facendo, il nostro ordinamento costituzionale risulta essersi allineato non solo ai principi derivanti dall’ordinamento dell’Unione Europea, che definisce gli animali come esseri senzienti (art. 13 TFUE), ma anche, si può dire, a quelli che sono gli attuali orientamenti del costituzionalismo contemporaneo, posto che le Costituzioni che approcciano la questione animale, o che comunque la riconoscono e le attribuiscono un qualche rilievo, sono sempre più numerose.

Un’immagine storica che ci ricorda come il percorso verso la conservazione e la protezione degli animali abbia lasciato tracce indelebili nel presente e nel futuro di molte specie.
In questo senso, secondo alcuni autori la riforma rappresenterebbe il coronamento di un percorso, dottrinale e giurisprudenziale, di progressiva “dereificazione” degli animali, in quanto l’affermazione, a livello costituzionale, del principio della loro tutela implicherebbe, in qualche modo, il riconoscimento di una loro soggettività. Secondo altri, invece, la riforma avrebbe rappresentato una sorta di compromesso al ribasso, nel senso che per essa il Legislatore avrebbe sì, finalmente, introdotto la questione animale all’interno della nostra Costituzione, ma senza affrontarla fino in fondo: senza, cioè, offrire agli animali una loro qualificazione giuridica. Altri ancora hanno ritenuto che dall’affidamento della tutela degli animali al legislatore statale emergerebbe tutta l’impronta antropocentrica della riforma, in quanto le forme e i modi della tutela degli animali sarebbero comunque rimessi alla discrezionalità del legislatore-uomo, e dunque ai suoi interessi.
ESSERE O NON ESSERE UN SOGGETTO GIURIDICO
Quando si parla di soggettività giuridica, ci si riferisce alla capacità di essere titolari, ad esempio, di diritti e facoltà, oneri e doveri, che sono situazioni giuridiche. A seconda che attribuiscano una posizione di vantaggio, oppure di soggezione, queste si distinguono in attive e passive.
Il diritto soggettivo è la principale situazione giuridica attiva, perché attribuisce al soggetto una posizione di prevalenza, riconosciuta come meritevole di protezione da parte dell’ordinamento giuridico, che è l’insieme dei principi e regole fondanti il vivere comune in una data società.
Riconoscere la soggettività giuridica degli animali sarebbe perciò il presupposto per il riconoscimento di loro diritti. Tuttavia, la sola titolarità di un diritto non ne garantisce il rispetto; è necessaria anche la possibilità di azionare il diritto, quindi di far valere la posizione di vantaggio connessa al medesimo, utilizzando gli strumenti previsti dall’ordinamento.
La sola affermazione legislativa di un diritto degli animali, ad esempio a vivere secondo la loro etologia, potrebbe non bastare a garantire la tutela effettiva di un animale, magari costretto in condizioni incompatibili con la sua natura, se quello stesso animale non avrà modo di veder tutelato quel suo diritto in via giudiziale, dunque davanti ad un tribunale.
Questa possibilità di azione resta preclusa agli animali. Tuttavia, come nel caso delle istanze di tutela ambientale in generale, l’ordinamento giuridico ha trovato degli escamotage, riconoscendo ad alcune associazioni di protezione ambientale la possibilità di agire in giudizio. Ma il vuoto di tutela rimane.
Eppure la Costituzione, fonte primaria del diritto, riconosce anche la categoria del dovere giuridico, situazione passiva che può limitare gli interessi individuali, imponendo comportamenti specifici, la cui osservanza viene presidiata dall’ordinamento giuridico.
Tornando all’esempio degli animali maltrattati, se sancire il loro diritto al benessere può non essere sufficiente, affermare il dovere umano di rispettare le loro caratteristiche, e preservare il loro ambiente naturale, può rivelarsi, anche alla luce della recente riforma costituzionale, più lineare e, soprattutto, efficace.
La questione ambientale e animale pongono il giurista di fronte ad interrogativi molto simili. E, soprattutto, fanno scricchiolare la costruzione intimamente e originariamente antropocentrica della torre d’avorio del diritto.
Un altro aspetto su cui si sono soffermati i commentatori è l’evidenza, anche nel testo del nuovo terzo comma dell’articolo 9, della peculiarità della questione animale rispetto alla questione ambientale, che il Legislatore della riforma ha evidentemente colto, e messo in luce¹. Valorizzando questo profilo, alcuni hanno giudicato la previsione della tutela degli animali come tutt’altro che compromissoria. Certamente, un’indagine anche solo lontanamente compiuta della relazione uomo-animale, e più in generale di quella uomo-natura, implicherebbe tutta una serie di considerazioni ulteriori, filosofiche ed etiche, che andrebbero molto al di là dei confini della riflessione giuridica e che, per ovvie ragioni, non verranno approfondite in questa sede. Tuttavia, se è vero che la questione del rapporto uomo-animale presenta una sua specificità, tale da non poterla ridurre puramente e semplicemente ad una mera componente della più ampia questione ambientale, è però altrettanto vero che il problema delle due tutele, quella dell’ambiente e quella degli animali, ha evidentemente un minimo denominatore comune: quello di mettere l’ordinamento giuridico, che è una costruzione umana, di fronte al problema dell’alter rispetto all’umano, e quindi, in definitiva, al tema, ora molto in auge, della coesistenza o convivenza con ciò che sta al di fuori e oltre di noi.

Coesistere non significa solo scendere a compromessi, ma comprendere profondamente cosa voglia dire abitare un luogo che assume significati diversi per chi lo vive — siano essi umani o animali.
Che cos’è l’ambiente per il diritto? E che cosa sono, per esso, gli animali? È noto che le impostazioni valutative che si contendono il campo rispetto alla costruzione del diritto dell’ambiente e alla definizione dei suoi contenuti sono essenzialmente due: quella antropocentrica, che pone al centro della riflessione sull’ambiente l’uomo e i suoi bisogni, e quella ecocentrica, che mira alla protezione dello stesso a prescindere dalle utilità che questo produce per l’uomo. Tanto la prima quanto la seconda, poi, possono presentarsi con intensità e gradazioni diverse. Rispetto alle domande che la questione ambientale e animale pongono, la prospettiva antropocentrica, in cui soltanto l’essere umano può porre valori e rivendicare diritti, dovendo il mondo del giuridico limitarsi a prendere atto delle istanze individuali, e garantirne l’estrinsecazione, ha già da tempo rivelato tutti i propri limiti. Ad esempio, configurare l’ambiente come un diritto dell’essere umano fornisce soltanto una parte della soluzione al problema della sua nozione giuridica, ma non consente di includere tutte quelle componenti dell’ambiente, o anche della fauna, che non solo possono non risultare di immediata utilità per l’uomo, ma addirittura possono rivelarsi dannose o pericolose. Occorre, a tal proposito, riconoscere i meriti di quella dottrina che ha brillantemente messo in luce le criticità che una simile proposta definitoria, laddove accolta, rivelerebbe. il professore Fabrizio Fracchia, in particolare, si è servito di tutta una serie di figure altamente evocative, al fine di dimostrare l’inadeguatezza, quando si parla di ambiente, del riferimento alla categoria dei diritti soggettivi: innanzitutto, viene sottolineato come la posizione dell’uomo nei confronti della natura non sia esattamente quella del titolare di un diritto, dunque di una pretesa, ma piuttosto come quest’ultimo si trovi, rispetto all’ambiente che lo circonda e agli elementi che lo compongono, in una posizione di soggezione, dovendo sottostare alle sue leggi e, alcune volte, addirittura subirne le aggressioni. Ma la “sindrome dello tsunami”, descritta sopra, non è l’unica “patologia” alla quale l’autore faccia riferimento: essa, infatti, viene ad essere affiancata da quella della cosiddetta “pagina bianca”, con la quale si vuole mettere in luce come, se è vero che la disciplina ambientale è stata dettata per tutelare una situazione giuridica qual è, appunto, quella del diritto soggettivo all’ambiente, è però altrettanto vero che di tale posizione protetta non si trova traccia nel diritto positivo, e quando questo accade il suo oggetto non è veramente l’ambiente, ma il diritto umano alla salute.
L’esito dovrebbe allora essere quello di salvaguardare l’ambiente soltanto nella misura in cui fa comodo all’uomo? E però, c’è da dire che, all’opposto, neppure le teorie più spiccatamente ecocentriche e/o biocentriche, che tendono ad estendere la soggettività giuridica oltre l’uomo, si sono dimostrate all’altezza delle aspettative. Si può anche discutere di diritti degli animali, e persino di diritti degli alberi o dei fiumi, ma la verità è che la prospettiva dei soli diritti, quando difettano le azioni necessarie a soddisfare le esigenze alla base del loro riconoscimento, si sta rivelando insoddisfacente persino per gli esseri umani. Se non si prevedono gli strumenti per azionarli, le dichiarazioni sui diritti rimangono lettera morta, e questo veramente accomuna la nostra posizione a quella degli animali. Possiamo stilare cataloghi variegatissimi sui diritti che, in base alla nostra cultura, intelligenza e sensibilità, ci sentiamo di volta in volta di attribuire al mondo animale, ma sarebbe poco più che un esercizio di stile; agli animali, a qualunque animale, continuerebbe comunque a mancare l’unica cosa che davvero conta rispetto alla titolarità di un diritto: la reale possibilità di difenderlo, di farlo valere².
IL “SENTIRE” DELL’ALTRO
All’art. 13 del Trattato sul Funzionamento dell’Unione Europea si afferma che, nella formulazione e attuazione delle politiche dell’Unione, si deve considerare il benessere degli animali, riconosciuti come “esseri senzienti”. Questo segna un netto cambiamento rispetto alla visione cartesiana, che configurava gli animali come macchine, prive di sensibilità. La riforma del 2022, che ha costituzionalizzato il principio della tutela animale, rappresenta anch’essa un importante passo avanti nel percorso di “de-reificazione” degli stessi.
Nella stessa ottica, il Legislatore italiano, già nel 2004, aveva introdotto nel codice penale norme volte a sanzionare fattispecie come l’uccisione (art. 544-bis, c.p.) o il maltrattamento di animali (art. 544-ter, c.p.), ma quelle stesse norme, risultavano raccolte sotto alla rubrica dei Delitti contro il sentimento per gli animali, che è evidentemente il sentimento dell’uomo. Con la L. n. 82 del 2025, il Codice Penale supera in parte la prospettiva antropocentrica, parlando di Delitti contro gli animali, aumentando le pene ed introducendo una serie di aggravanti. Tuttavia, la morte e il maltrattamento di animali continuano ad essere puniti solo in caso di crudeltà o in assenza di necessità, che restano categorie umane. Nonostante i progressi, e le interpretazioni più avanzate, il punto di vista è rimasto quello antropocentrico.
Lo stesso art. 13 TFUE, pur qualificando gli animali come esseri senzienti, sottolinea anche la necessità di rispettare, ad esempio, le consuetudini e le tradizioni degli Stati membri. Malgrado i passi avanti, la strada per riconoscere una dignità giuridica al “sentire” dell’altro rispetto all’uomo, e in specie al sentire animale, è ancora lunga. Tuttavia, in questo percorso tortuoso, la tutela animale in Costituzione può contribuire a non far perdere più la bussola.
Una prospettiva migliore, almeno per il giurista, non è tanto quella di ammettere o non ammettere la titolarità di diritti da parte degli animali, ma quella di riconoscere il valore della loro tutela e protezione, e quindi di assumere un impegno in tal senso.

Per migliaia di anni abbiamo sradicato tutto ciò che sembrava ostacolare i nostri interessi. Serve, forse, una nuova prospettiva meno antropocentrica e più mutualistica.
Tale riconoscimento e assunzione di impegno, rispetto all’affermazione statica di un diritto, risulta a conti fatti più onesta, anche se comporta oneri, limiti e doveri. Tra l’altro, la dimensione dei doveri non è affatto sconosciuta al nostro testo costituzionale, che all’art. 2 la ricollega, guarda caso, proprio al riconoscimento e alla garanzia dei diritti, creando un parallelismo tra questi ultimi, definiti inviolabili, e i doveri inderogabili di solidarietà – politica, economica e sociale, e -perché no? – dopo la riforma dell’art. 9, a maggior ragione anche ambientale ³. Si tratta di una visione che può trovare il suo pendant in quello che è stato definito come un antropocentrismo moderato, o antropocentrismo dei doveri: una prospettiva che prende atto della centralità dell’essere umano – quanto meno nella costruzione dell’ordinamento giuridico -, ma che, da questa centralità, fa discendere un principio di responsabilità rispetto a tutto ciò che è altro, animali e ambiente in primis. Insomma, uno “stare al centro” da cui derivano più doveri che diritti.
Il recente inserimento della tutela animale in Costituzione può pertanto essere letto sotto una luce diversa. Infatti, al netto di tutti i discorsi, e di tutti i limiti, non si può negare che, inserendo nel testo costituzionale il riferimento alla tutela degli animali, la riforma abbia in qualche modo introdotto un obbligo supremo di protezione nei confronti degli stessi⁴ : in definitiva, li ha resi oggetto di un dovere da parte degli esseri umani. Esattamente come lo è l’ambiente di cui fanno – e facciamo – parte.

È davvero così difficile cambiare le nostre abitudini per accogliere l’altro, anche quando è diverso da noi?
Un giorno, forse, l’ordinamento giuridico riconoscerà anche una soggettività giuridica per gli animali, superando lo specismo. Fino ad allora, la migliore tutela appare il riconoscimento dei doveri di protezione dell’uomo verso gli animali, non più come risorse, ma perché con essi condividiamo il fatto dell’esistenza su questo stesso pianeta.
Testo redatto da Alice Rallo – Collaboratrice giuridica – Parco Nazionale d’Abruzzo Lazio e Molise
¹ V. sempre D. CERINI, E. LAMARQUE, La tutela degli animali nel nuovo articolo 9 della Costituzione, in federalismi.it, n. 24/2023, pag. 34, per cui “è molto significativo…che nel testo dell’art. 9 Cost. gli animali non siano considerati soltanto come meri componenti”, cosa da cui si evince la scelta di “considerare il valore del rispetto e della tutela degli animali…in modo autonomo rispetto ad altri valori a esso contigui e parzialmente sovrapponibili”, e similmente anche P. VIPIANA, La protezione degli animali nel nuovo art. 9 Cost., in DPCE online, n. 2/2022, pag. 1120, in cui si evidenzia che “la circostanza per cui il disposto sulla tutela degli animali viene formulato con una frase a sé…sembra indicare che la tutela degli animali sia un aspetto nettamente distinto…”, pur precisando tuttavia che “in realtà le due parti…sono strettamente connesse e la tutela degli animali acquista uno specifico significato proprio in correlazione con la tutela dell’ambiente”. Anche A. VALASTRO, La tutela degli animali nella Costituzione italiana, in Biolaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2022, pag. 264-265, ritiene che “il testo di riforma…ha molto opportunamente abbandonato l’ipotesi …di ricomprendere gli animali nei concetti di fauna e/o biodiversità…”, e “aver sganciato la tutela degli animali dalla tutela di qualsiasi altro bene (ambiente, fauna, biodiversità, ecc.), e averne fatto oggetto di tutela diretta, rende implicito il loro riconoscimento come esseri senzienti”.
² V. P. VIPIANA, Op. Cit., pag. 1112, per cui “il riferimento alla tutela dei diritti degli animali…si rivela improprio giacché l’animale non può agire in giudizio (si potrebbero prefigurare ricorsi delle associazioni animaliste): perciò sembra preferibile prevedere non la titolarità di diritti in capo agli animali, ma semplicemente la tutela di questi ultimi, il che comporta riguardo al trattamento di essi l’imposizione di obblighi e divieti a carico degli esseri umani”. Così anche D. CERINI, Il diritto e gli animali: note gius-privatistiche, G. Giappichelli-Editore, Torino, 2012, pag. 8, che nota come, al di là delle declaratorie, la situazione risulti “ancora del tutto insoddisfacente specialmente sul piano della law in action e della effettiva tutela della posizione animale”.
³ V. sul punto A. VALASTRO, La tutela degli animali nella Costituzione italiana, in Biolaw Journal – Rivista di BioDiritto, n. 2/2022, pag. 279, per cui “la Carta costituzionale, in quanto progetto di sviluppo della società umana, non può non presupporre la corretta convivenza della specie umana con le altre specie, pur nel quadro dei fisiologici bilanciamenti…”.
⁴ D. CERINI, E. LAMARQUE, Op. cit., pagg. 63 e ss., parlano della costituzionalizzazione di un principio animalista, e sostengono che “d’ora in poi sarà necessario tenere conto della presenza di tale nuovo principio nell’esercizio delle funzioni normative e giurisdizionali”.

